L’incidente…

Cronaca di quel lontano 15 dicembre 1992:

 

Ho chiesto a Claudio, colui che guidava la macchina in Africa, di raccontarmi esattamente come era accaduto l’incidente in Tanzania. Lui, come sempre, è stato gentilissimo e mi ha scritto una dettagliata mail dove si è sforzato di ricordare.
Riporto integralmente la mail di Claudio:

 

Eravamo oramai verso Natale ed anche verso la fine della mia prima esperienza di volontariato in Tanzania. Probabilmente sarebbe stato l’ultimo dei cento viaggi che avevo fatto in auto tra Matembwe e Dar Es Salaam . Norberto era venuto a trovarmi e condivideva con me l’esperienza africana oramai da un mese, si era ben adattato ai disagi, ai viaggi ed alla mancanza di orari tipica di quel periodo. Eravamo scesi in città, se così si può dire di un viaggio di millecinquecento chilometri, per sbrigare alcune commissioni, fare degli acquisti ed accogliere una mia amica, anche lei volontaria, che era venuta per qualche giorno in visita da noi.
Era tutto perfetto, averi lasciato le cose, fino al mio programmato ritorno di lì a qualche mese, in modo da riprenderle con facilità, quasi senza interruzione. Avrei potuto godermi questi ultimi giorni in pace, salutare tutti, avere il tempo di parlare, ripercorrere l’esperienza fino ad allora fatta, regalare le cose che non mi sarebbero più servite e ricevere il saluto di tutti gli amici con cui avevo trascorso quei due anni di vita. Però le cose vanno come vogliono.
Mattina, si parte, fatto gasolio, siamo in quattro con un po’ di bagaglio. Il furgone è un po’ leggero dietro e penso quasi di fermarmi a comperare una decina di sacchi di cemento, tanto poi serve. Ma no, in auto c’è gente, con i bagagli e dopo si sporca tutto durante il viaggio… e poi cosa me ne faccio del cemento che tra poco torno a casa, non ho nemmeno il tempo di usarlo e per quando torno sarà da buttare. Abbiamo anche le gomme nuove arrivate con l’ultimo container, quelle buone che qui non si trovano.

“Il tempo non è proprio bello qui sulla costa, piove a tratti, poi viene fuori il sole, si alza l’umidità, e si appiccica tutto, bisognerebbe fare la doccia tre volte al giorno. Da noi a Matembwe in questo periodo è secco ed un po’ freddo, ma si sta molto meglio, anzi si sta proprio bene, meglio ritornare.” Conversazione di viaggio, la strada è sgombra non c’è molto traffico, hanno spostato i cantieri di asfaltatura oltre Chalinze i primi duecento chilometri sono buoni. Andiamo a novanta/cento all’ora nei tratti rettilinei, “io metto la cintura per abitudine” dico ai miei passeggeri, ma qui non è obbligatoria . Abbiamo passato il ponte sul Rufiji poi la strada è bella dritta ed un po’ più larga, conversiamo e ci raccontiamo le notizie dai nostri progetti, degli altri volontari. Passata anche Chalinze dove ti vendono i cesti di paglia ma soprattutto dove i bambini vendono ai turisti di passaggio le automobiline di latta. Sono fatte con tutti i tipi ed i colori delle lattine di olio.

Esce il sole poi arriva uno scroscio di pioggia
Strada nuova asfaltata da qualche mese
Pioggia e carburante disperso sulla carreggiata rendono il fondo scivoloso
Su un tratto rettilineo la macchina perde aderenza, ricordo di aver controsterzato almeno tre volte poi l’auto si gira va in testa-coda non posso fare più nulla se non gridare di tenersi, ancora qualche decina di metri all’indietro poi giù per la scarpata, si pianta in fondo gira su se stessa e cappotta fa un giro completo e si ferma di nuovo sulle ruote nel senso di marcia originario.
Ricordo di aver tentato di scendere dall’auto, ho aperto la porta con uno spintone ma non potevo scendere a causa della cintura di sicurezza che mi tratteneva.
Ad un rapido controllo in auto era rimasto solamente il ns. passeggero africano, un parente della cuoca del posto dove alloggiavamo, che aveva chiesto un passaggio. Era ferito alla testa ma ad un primo giudizio pareva un taglio, in due secondi trovo qualcosa per tamponare la ferita poi vado alla ricerca degli altri due.
Trovo Annarosa in terra ad una decina di metri dall’auto, supina ma si sta muovendo e mi parla, Norberto è sdraiato in mezzo all’erba privo di sensi, controllo se ha ferite evidenti ma non noto nulla, respira. Passa qualche minuto, arriva gente che mi parla, non che riesca a connettere più di tanto. Nella confusione qualcuno comincia a portarsi via i nostri bagagli.
Norberto comincia a dare segni vitali, muove le braccia. Si ferma la vecchia Land Rover del dottor Blè, non ci conoscevamo di persona, avevamo entrambi sentito i nostri nomi solo per radio fino a quel momento. Scende, controlla lo stato di Norberto e chiede a qualcuno di fermare un’auto per il trasporto, è meglio che stia steso, dice.
Troviamo un camion, in tanti ci aiutano a caricare Norberto sul pianale gli mettiamo un cuscino sotto la testa io mi siedo accanto, partiamo verso l’ospedale Muhimbili, saranno quasi 150 chilometri.
Annarosa ed un po’ di bagagli raccattati viaggiano sulla Land Rover del dottor Blè assieme alla moglie ed ai figli, io, il nostro passeggero africano e Norberto partiamo a bordo del camion, Norberto è sdraiato, si agita un po’ soprattutto muove le braccia ed ha lo sguardo perso nel vuoto. Io non so a cosa pensare, il viaggio è piuttosto lungo ed ho parecchio tempo per darmi dello stupido a non aver saputo valutare le condizioni della strada dopo due anni che la percorrevo di giorno e di notte anche due volte al mese.
Lungo il viaggio continua a piovere a scrosci ed a tratti esce il sole, dopo due ore di strada e di sobbalzi, arriviamo al pronto soccorso dell’ospedale.
Credo che il trattamento prestatoci in termini medici sia stato quanto di meglio la struttura dell’ospedale potesse offrire in Tanzania, il dottor Blè si è occupato del ricovero Norberto è stato visto dal primario di neurologia (ricordo che era di etnia Masai ) che fin da subito fece la diagnosi della lesione neurologica a carico della colonna vertebrale. Norberto da ora in poi viene ricoverato in attesa di un posto in terapia intensiva, posto che otterremo il giorno successivo.
Il ricovero in ospedale si rese necessario per avere il tempo di trovare un volo disposto a trasportare Norberto fino in Europa, cosa che non fu facile e non mi fu mai raccontata se non per sommi capi dagli attori diretti: padre Aldo dei missionari della Consolata in particolare. L’organizzazione del volo prevedeva comunque che Norberto dovesse viaggiare sotto la sorveglianza, e responsabilità, del dottor Claudio Blè. Mi ricordo il giorno della partenza l’arrivo dell’autoambulanza che portava Norberto fin sulla pista sotto l’aereo della Swiss poi lo abbiamo sollevato con la barella e lo abbiamo portato su per la scaletta posteriore, dentro all’aeroplano dove era stato predisposto un letto per potervi adagiare il paziente, ricordo in particolare che abbiamo dovuto scaricarlo dalla barella e portarlo a braccia perché il corridoio dell’aereo era troppo stretto.
Ho visto e salutato Norberto in Africa in quella mattinata calda e piena di sole e ho pensato che ci avrebbe salutato contento, che avrebbe salutato contento il Paese che aveva visitato ma in quel momento le sorti e l’esistenza stessa di Norberto era appesa ad un esile filo di speranza.
Tempo dopo, complice il mio ritardato ritorno in patria, ti son venuto a trovare nella struttura riabilitativa di Villanova d’Arda (PC). Ricordo che già allora mi dicesti che non ti ricordavi molte cose e che ti avrei dovuto aiutare a ricostruire quel tuo pezzo di vita.