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Matembwe 9/11/1992


Pensavo che quello di ieri fosse stato un difficile viaggio, solo perché non avevo ancora provato quello di oggi. Non avrei mai immaginato di poter vedere uno scalcinato e vecchio autobus carico di oggetti e persone da faticare a respirare e che alle successive fermate potesse caricare altre persone con bagagli. Non l’auguro a nessuno, anche perché le sardine non danno l’idea. Scordavo di dire che per fare gli ultimi sessanta o settanta km di strada non asfaltata, ci sono volute ben due ore e mezza in quelle condizioni appena citate. Fortuna che un ragazzo conosciuto a Dar e rivisto sul bus a Njombe ci ha trovato il posto a sedere, se no giuro che non so se ce l’avrei fatta.
“Casa dolce casa”
Finalmente a Matembwe. Preso possesso della mia camera, spartana ma efficiente, riordino con gioia oggetti ed indumenti. Poi esco di casa e vado a fare un giro in moto fino al paese. La moto, una vecchia Laverda da cross, sembra avere funzionanti quasi tutte le parti meccaniche, a parte frizione, freni, ammortizzatori e gomma posteriore liscia, ma il divertimento l’ho potuto apprezzare per intero. Che sensazione, mi sono sentito il primo centauro del secolo, tutti al sentire il rumore della moto si fermavano ad osservarmi ed i bambini urlando mi salutano correndo verso il bordo della strada. Tutto questo è quasi imbarazzante, ma divertente. Poi per chiudere in bellezza sono andato al campo sportivo con un arrivo da vero boss. Anche qui il primo impatto non è stato dei meno imbarazzanti. Al rumore della moto, tutti hanno smesso di giocare e mi hanno invitato a giocare a pallone con loro. Accetto l’invito, siglo quattro gol ed al momento di liquidarmi da loro la moto si mette a fare i capricci per accendersi. Ciò provoca gran risate a chi mi osserva, ma faccio l’indifferente e mi avvio velocemente verso casa. La serata si conclude con cena (erano già 48 ore che non si consumava un pranzo), musica, relax ed un organigramma del lavoro che avremmo avuto da fare. Evviva, mai tanta quiete è stata padrona di me.