Tanzania 1992

Dar Es Salaam, 4 novembre 1992

Sono ormai due giorni che sono arrivato in questa città africana. Appena sceso dall’aereo, nel tragitto fatto in taxi che dall’aeroporto porta alla missione dove ho cercato ospitalità, mi sono chiesto:

– “Ma questa è l’africa? Dov’è tutta quella bellezza così menzionata?” –

Ovunque ho visto un tale stato di degrado che senza fare tanta strada, avrei visto in un qualsiasi sobborgo di basso rango di una grande città. Anzi peggio. Passato questo primo impatto, non dei più felici, arrivato alla missione ho conosciuto le prime persone quasi tutte italiane. La presentazione è stata molto elementare:

– “Ciao, come ti chiami, da dove vieni, stop.” –

Tutto questo mi è sembrato discreto, conciso ed educato, così da non dover ripetere ad ogni nuovo volto, un disco noioso, monotono ed al quanto fastidioso. Poi ho conosciuto il responsabile di questa missione, padre Aldo Pellizzari, che dopo averlo messo a conoscenza sul perché ero lì in consolata, mi ha consegnato, senza troppi indugi, le chiavi di una camera con bagno. Dopo pranzo (ci si siede e ci si alza sempre dopo una brevissima preghiera) sono andato al mare con due medici meridionali, una signora veronese incinta ed il marito anche lui veronese. In loro compagnia ho passato una piacevolissima giornata. Ho fatto il mio primo bagno nell’Oceano Indiano dall’acqua deliziosamente calda e poco salata. Abbiamo parlato del più e del meno spaziando in tutti i campi in serena armonia. Dopo un breve salto al mercato dell’artigianato locale e riaccompagnato alla missione, ho cenato e sono andato a dormire per ristabilirmi. Questa è la prima volta che tengo un diario e quindi non sò ancora bene se devo scrivere un resoconto delle giornate od un resoconto delle impressioni. Penso sia la miglior cosa, inserire in queste pagine quello che mi attraversa la mente. Di qualunque genere esso sia anche senza un filo logico o narrativo.

 


 

Dar Es Salaam

Oggi al risveglio sono andato in città con John, un simpatico ragazzo locale. Abbiamo incontrato un suo conoscente, un insegnante norvegese con la moglie keniota ed il loro “wachman” con i quali abbiamo passato tutto il resto della giornata così svoltasi:
– Discorsi in relax prima in terrazzo poi al bar del Kilimangiaro Hotel situato sulla panoramica del porto della città;
– Visita al mercato del pesce, luogo caratterizzato dall’incredibile povera originalità, densi ed anche nauseanti odori. Gente che mercanteggia, danza, canta, cucina, nuota nel canale del porto e gioca a pallone davanti ad un folto e divertito pubblico locale in un campo di sabbia che del calcio l’unica sembianza è solo una palla di vecchia pelle;
– Cena in un ristorante cinese. Per un italiano non trovare il pane al ristorante, è come andare in un pub e non trovare la birra.
Forse è presto per delle deduzioni, o del parlare del così citato mal d’Africa, ma la sensazione che ho avuto nel frequentare queste prime persone incontrate, mi hanno subito fatto riflettere. Non c’è bisogno di dare del “lei”, anzi quasi offendi, perché questa gente è qui per un qualcosa che sentono e non vogliono delle inutili riverenze. Se con te si sono trovati bene, non hanno bisogno di scambiarsi l’indirizzo, probabilmente perché sanno che dove andranno ci saranno altre persone semplici e serene. Ma la cosa che più mi ha colpito nelle poche coppie che ho conosciuto, è il saper ridere, schernirsi e scherzare fra marito e moglie, in quel modo che io ho sempre visto fare e fatto, solo quando devi conquistare una donna o è da poco che l’hai conquistata.
Ch’io possa far tesoro di come si può mantenere un rapporto così sereno.

 


 

Dar Es Salaam

Le giornate passano tranquille, in ottima armonia con quel che mi circonda. Non ho “grilli” per la testa se non quello di osservare tutto ciò che mi circonda. Qui alla missione è un porto di mare. Gente che viene e che và in un continuo ricambio di volti nuovi. La cosa simpatica è che prima e dopo pranzo e cena, ci si ritrova sotto alla veranda attigua alla sala da pranzo, a parlare, discutere e scherzare nel più variopinto dei modi, ma sempre con tono educato. D’altro canto, sotto questa veranda, hanno poggiato e poggiano tutt’ora le natiche ogni tipo di persona, dal dottore al manovale, dallo studente all’analfabeta. Sempre però in gioiosa armonia, ove nessuno è dissociato se non per suo volere. Stamani dopo che l’amico John mi è venuto a svegliare, siamo andati in centro (di cosa poi non so) città per comprare qualcosa, curiosare e farmi un po’ d’esperienza sul come bisogna comportarsi in questi luoghi. La visita con guida, si è rivelata ben presto assai educativa. Entrato in un loculo dalla parvenza di boutique nel provarmi una camicetta e liberatomi del marsupio cinto intorno alla vita, al momento del pagare, mi sono accorto che tutto il marsupio con affini, avevano preso il volo. Tanta meraviglia ma complimenti per il ladro. Voglio solo ringraziare il mio buon senso per l’aver tolto, dal funesto involucro la sera prima, tutti quegli oggetti e carte non utili ad una escursione cittadina. Fatta però eccezione per il passaporto, la patente di guida italiana e circa 50.000 £ in moneta locale. Povero Lupem, avevo già speso nei negozi precedenti. Nel pomeriggio sono andato a fare denuncia alla polizia con il prezioso John e un nuovo aggregato siciliano di nome Alessandro (studente in teologia) ed a cambiare nuovi soldi con la speranza che non vadano nelle tasche di sconosciuti. Alla polizia si è svolto un fatto insolito. Dopo aver detto di essere lì per la denuncia di un furto, è intervenuto un graduato che ci ha raccomandati per farci sbrigare subito la pratica, nonostante la presenza di ben altra gente ad aspettare, dicendo:

– “E’ gente scomoda, potrebbero crearci dei problemi!” –

Non ne ho conosciuto il motivo di tale frase, ma mi è molto tornato comodo. Un osservazione, se quella era una centrale di polizia, non oso immaginare di come siano le carceri. La sera è anche partito John per Torino. Deve fare uno stage di cinque settimane, ma riavrò presto occasione di frequentarlo in Matembwe. Ho sonno buona notte ed a domani o dopodomani, ciao. Un pensiero per padre Aldo Pellizzari, instancabile e sempre a completa disposizione.

 


 

Dar Es Salaam

Stamani di prima mattinata, mi è venuto a svegliare Claudio, la persona che aspettavo con il quale dovrò passare le mie giornate future nell’interno della regione. E’ un simpatico e vivace ragazzo (mio coetaneo) vicentino. Di Schio per la precisione. In sua compagnia coadiuvata dal frate Liduino (personaggio assai restio alla confidenza di primo impatto ma in secondo luogo divertente e sempre pronto allo scherno con frasi a doppio taglio) siamo andati per uffici ad ultimare quelle pratiche per il furto dei miei documenti. Nel pomeriggio, per ammazzare il tempo, sono tornato al mare a sguazzare in quella deliziosa acqua dell’Oceano accompagnato da padre Guido , un prete di colore ed altre persone italiane di transito alla consolata. Ho avuto modo di conoscere Bruno, un muratore veronese dai rudi modi, a prima impressione, ma dal grande cuore, tenacità e simpatia spicciola. Che risate nel vederlo arrampicare su per una palma per raccogliere una noce di cocco che con ostinazione doveva essere sua per portarla a casa. Quanto si è graffiato braccia, gambe e piedi, oltre una girata di unghia, nel scendere scivolando dal tronco della palma. Anche i camerieri del ristorante, nell’osservarlo divertiti dal terrazzo, gli hanno dedicato un applauso. Non so perché, ogni giornata si ripete a ritmo tranquillo, ma ognuna ha un calendario a parte. Forse sono i luoghi, oppure sono io, che obbligato dalle circostanze, trascorro le ore in modo rilassato senza dover rincorrere niente e nessuno in particolare. Ogni tanto penso alla mia città e ad una persona in particolare, ma non scopro alcun disturbo. Penso che in questa calma sto iniziando a coltivare il dono della pazienza. Questa persona avrò modo di frequentare al mio ritorno, se non cambiano le circostanze. Domani finalmente si parte per l’interno. Visto che i tempi non coincidono con coloro che ci dovrebbero dare un passaggio fino a metà via, probabilmente dovremo viaggiare con i bus locali, se ce ne…!!! Sono preso dalla curiosità di come sarà questo tragitto.

 


 

Makambako

Finalmente si parte!
In compagnia di Claudio si prende un taxi fino alla stazione degli autobus. Più che una stazione per viaggianti, sembra un mercato delle pulci. Trovato il bus e preso possesso dei posti assegnatoci (mi è sembrata una grave mancanza occupare un altro posto) si inizia il viaggio in condizioni non esattamente confortevoli. Il caldo umido ti fa sudare al solo pensare, il posto a disposizione è da contorsionista, la ressa di gente dentro il bus è come quella del ritorno a casa degli scolari all’ora di punta, ogni oggetto e cibi vari vengono appesi o fanno da riempibuchi, il soffitto dell’autobus si tramuta in un mercatino coperto di sacchi, ma quel che non immaginavo è che questo confort l’avrei sopportato per ben undici ore filate. Durante questo tempo chiacchiero con Claudio e osservo tutti quei paesaggi così nuovi. Attraversiamo un parco naturale e vedo molti di quegli animali che solo allo zoo avevo visto. Nell’autobus vige un’atmosfera morta. Qualcuno dorme, gli altri sono immobili e muti ai loro posti, bambini compresi ed a parte una continua cantilena ad alto volume, sono l’unico che si alza e vaga nell’interno del bus, osservato come una bestia rara. Scambio due chiacchiere col bigliettaio e rimango perplesso quando mi chiede quanti giorni di volo ci vogliono per arrivare dall’Italia. Io rispondo:

– “Solo sette ore” –

Cercando paragoni, lui non riesce ad immaginare quanto sia veloce un aereo.
Alla prima ed unica sosta per un controllo bagagli e veloce ristoro, vedo per la prima volta una famiglia di ”Masai” però non mi hanno destato quelle sensazioni che pensavo di ricevere nel vederli. Solo la curiosità di osservare ad un metro da me quei tanto variopinti, alti, snelli e fieri guerrieri pastori. Ripresa la strada ad un tratto si sente un gran rumore ritmico dalla ruota. L’autista fa controllare l’accaduto e gli dicono:

– “E’ saltata la copertura del pneumatico!” –

Quindi nessun problema, finché non scoppia si può procedere col viaggio.
Arrivati alla tappa ”Iringa” guardo tre ragazzini che mi osservano divertiti i tatuaggi. La cosa curiosa è che anch’io sono divertito dal loro divertimento. Probabilmente per l’aver visto come prima volta questi strani disegni sulla pelle. Comunque sto imparando a non dare troppa confidenza, anche ai bambini. Appena ti giri o distrai ti puoi ritrovare con le loro mani nelle tasche. Il viaggio comunque si conclude bene con l’arrivo alla missione, quindi dopo aver salutato padre Sandro (già conosciuto a Dar) e l’aver ricevuto ospitalità e ristoro, io e Claudio ci congediamo da tutti ed andiamo nel meritato riposo.
Domani ci aspettano altri chilometri ma di strade secondarie:

– “Un po’ più trasandate e meno curate !!!” –

Dice sorridendo Claudio che conosce bene la regione, fai un po’ te …

 


 

Matembwe

Pensavo che quello di ieri fosse stato un difficile viaggio, solo perché non avevo ancora provato quello di oggi. Non avrei mai immaginato di poter vedere uno scalcinato e vecchio autobus carico di oggetti e persone da faticare a respirare e che alle successive fermate potesse caricare altre persone con bagagli. Non l’auguro a nessuno, anche perché le sardine non danno l’idea. Scordavo di dire che per fare gli ultimi sessanta o settanta km di strada non asfaltata, ci sono volute ben due ore e mezza in quelle condizioni appena citate. Fortuna che un ragazzo conosciuto a Dar e rivisto sul bus a Njombe ci ha trovato il posto a sedere, se no giuro che non so se ce l’avrei fatta.

– “Casa dolce casa” –

Finalmente a Matembwe. Preso possesso della mia camera, spartana ma efficiente, riordino con gioia oggetti ed indumenti. Poi esco di casa e vado a fare un giro in moto fino al paese. La moto, una vecchia Laverda da cross, sembra avere funzionanti quasi tutte le parti meccaniche, a parte frizione, freni, ammortizzatori e gomma posteriore liscia, ma il divertimento l’ho potuto apprezzare per intero. Che sensazione, mi sono sentito il primo centauro del secolo, tutti al sentire il rumore della moto si fermavano ad osservarmi ed i bambini urlando mi salutano correndo verso il bordo della strada. Tutto questo è quasi imbarazzante, ma divertente. Poi per chiudere in bellezza sono andato al campo sportivo con un arrivo da vero boss. Anche qui il primo impatto non è stato dei meno imbarazzanti. Al rumore della moto, tutti hanno smesso di giocare e mi hanno invitato a giocare a pallone con loro. Accetto l’invito, siglo quattro gol ed al momento di liquidarmi da loro la moto si mette a fare i capricci per accendersi. Ciò provoca gran risate a chi mi osserva, ma faccio l’indifferente e mi avvio velocemente verso casa. La serata si conclude con cena (erano già 48 ore che non si consumava un pranzo), musica, relax ed un organigramma del lavoro che avremmo avuto da fare. Evviva, mai tanta quiete è stata padrona di me.

 


 

Matembwe

Oggi sono andato a visitare il progetto, cioè la zona che comprende l’allevamento dei polli, il mangimificio, quello che diventerà il nuovo centro sociale del paese e l’officina. Nel pomeriggio caricata la macchina pick up di attrezzi da lavoro e persone (manovali), siamo andati a Ikondo dove si stà iniziando con un nuovo progetto. E’ incredibile come questi africani si divertano tanto. Abbiamo fatto, cioè, hanno fatto tutto il viaggio in piedi sul cassone e non ho mai sentito smettere di ridere, parlare e scherzare. Anche quelli nell’abitacolo insieme a Claudio in ogni pretesto di discorso mi è parso che inserissero parole di spirito, così che tutto il viaggio è stato allegro. Non mi è sembrato un caso, secondo me è un popolo che sa ridere oppure, visto ciò che hanno (o meglio “ciò che non hanno”), si sanno divertire con veramente poco. Oggi, forse sono riuscito a capire qualcosa su come una persona possa stare per tanto tempo sola in un posto del genere. Senza apparenti svaghi, viste le nostre abitudini in Italia. Nel sentir parlare Claudio, ma soprattutto nel sentir narrare quello che ha fatto e le sue future intenzioni per l’attuazione del nuovo progetto, ho notato in lui un irradiarsi del volto. Subito non ho tradotto questa luce, ma nel soffermarci davanti un’enorme vallata tendente al pianeggiante e nel sentirgli dire che starà per farsi dare la tutela di quel falsopiano totalmente vergine per poterlo sviluppare agricolarmente secondo un suo piano, penso che un po’ di quella sua energia, abbia coinvolto anche me. Ora vedendo la situazione anche da un’altra angolazione, per questi volontari non mi sembra che siano tanto abbondanti le ore a disposizione per ogni giorno. Quindi, di conseguenza, la noia non può diventare un fattore aggiunto alla loro permanenza nel posto. Quante volte a casa ci siamo bruciati il cervello anche con amici nel pensare cosa fare che non sia noioso o ripetitivo. Qui il problema non si pone. Di sera, svolti i lavori rimasti di routine, è meglio correre sotto le lenzuola, perché il nuovo giorno comincia presto.

 


 

Matembwe

Caro diario, sono un po’ di giorni che ti ho lasciato chiuso.
In questo frattempo ho avuto modo di conoscere nuovi luoghi e nuove persone. Poco alla volta, sto iniziando a capire come questa gente ragiona. Mi meraviglio continuamente di come rimangono stupefatti davanti alle più banali tecnologie del mio mondo. A volte rimango imbarazzato nel sentirmi così osservato, d’altronde, in tutta la zona circostante (parlo di tutta una regione) siamo solo in quattro ad avere la pelle bianca. Quindi siamo gli unici fortunati ad avere la macchina, bei vestiti, orologi e tutti quegli altri optionals che per loro sono proibitivi. Il tenore di vita locale, è così povero che a volte non credo ai miei occhi. I bambini già a tre o quattro anni iniziano a lavorare per un equilibrio famigliare di necessità. Li vedo vestiti di stracci o con abiti ricavati dai sacchi di tela, tanto sporchi e malconci da diventare tutt’uno col fango o col terreno circostante. I mezzi di trasporto sono così impossibili, che quando si passa in macchina è d’obbligo caricare quante più persone stanno nell’abitacolo o nel cassone aperto all’aria. E bambini o vecchi che siano, anche sotto una pioggia torrenziale ed un notevole freddo, stanno lì pazientosi quasi come animali. Da notare che sono quasi tutti scalzi e con quel velo di vestito a brandelli, con il quale io avrei freddo anche in casa. Comunque, a parte questa nota apparentemente così squallida, per loro la vita è allegria e divertimento, perché non vogliono pensare ad un domani se non a quello immediato. Le giornate vanno vissute col massimo godimento a disposizione nel momento. Per tutto ciò che ho visto di crudele esiste una ben funzionale spiegazione. Forse a volte non li condivido, ma per quel che mi è concesso di recepire li capisco. Intanto la mia convivenza con Claudio scorre fluida. E’ un ragazzo in gamba e dinamico, fortunatamente mi dice le cose schiettamente senza aspettare che io possa arrivare a capirle. D’altro canto, certe attenzioni per la salvaguardia anche dei più banali oggetti sono d’obbligo in questi luoghi. Non c’è, nell’arco di circa sessanta km, un negozio dove si possa trovare anche un semplice foglio di carta (non stò esagerando), figurarsi un ricambio per l’auto. Quindi non c’è tempo per capire, in alcuni casi potrebbe essere già troppo tardi.
Per i prossimi giorni si sta vedendo di organizzare i lavori per due microprogetti. Uno è l’ultimazione del centro sociale qui in Matembwe, l’altro è la costruzione della casa per i futuri volontari in un villaggio a cinquanta km di distanza (villaggio Ikondo). Non stò ad elencare quali molteplici problemi comportino le strade poco agevoli, la scarsa disponibilità dei materiali od un banalissimo contrattempo.

 


 

Matembwe

Ormai è una settimana che piove alternatamene tutti i giorni, ma le giornate passano lo stesso senza che me ne accorga. Ieri siamo andati verso Ikondo per continuare dei lavori lasciati in sospeso, ma la pioggia ci ha bloccati al lato della strada quasi a destinazione. Dopo un non facile lavoro di zappa ed abilità di guida, montate le catene abbiamo fatto ritorno verso casa bagnati ed infangati come pochi, ma pur sempre in un clima d’allegria e serenità. Certo che questa pioggia stà creando dei non facili problemi per il proseguo dei lavori e degli spostamenti. Si rischia di essere bloccati da un momento all’altro sulla strada con il conseguente dover dormire in macchina fino a che, le malridotte strade tornano ad essere agibili. Sempre però soltanto per un fuoristrada attrezzato. Claudio, parlando per radio (le comunicazioni via radio sono possibili solo la sera dalle ore 20.00 alle ore 20.30 circa ed è l’unico mezzo di comunicazione) è stato avvisato di una visita per questa domenica e lunedì. Queste persone che ci vengono a trovare, ho già avuto modo di conoscere in uno dei nostri vari spostamenti nel paese. Sono un signore siciliano che vive oramai in Tanzania da cinque anni, con la moglie del posto, figlio e due ragazze infermiere sempre siciliane.
Questa visita ci è molto gradita, perché oltre ad essere persone piacevoli, dà un senso di festa alla giornata. Per l’occorrenza ho dato dei soldi a Moses (un ragazzo del posto che insieme all’Enrica hanno il compito di accudire a tutti i lavori domestici) per comprare in paese un gallo, così da poter offrire un accogliente pranzo agli ospiti. La cosa si è rivelata anche buffa, perché è divertente come il nostro cane stia di guardia al sacco che contiene il malcapitato gallo ancora vivo, ma sono ancor più contento perché mangerò carne dopo tante pietanze all’africana. Oltre a questa visita di cortesia avremo anche un’altra visita però di lavoro, persone del CEFA per la visione dei nuovi progetti. Questi signori rimarranno per circa due settimane, cosicché Claudio, sarà molto impegnato nei lavori di pubbliche relazioni e diplomazia.

 


 

Matembwe

Sono due giorni che sono a casa da solo. Claudio è dovuto andare a Dar Es Salaam per prendere quelle persone che arrivano dall’Italia. La settimana è passata fluida, abbiamo anche dormito una notte a Ikondo. Che strana esperienza. E’ stata la prima volta che ho dovuto dormire in compagnia di alcuni topolini in una baracca-magazzino senza acqua e luce e mangiando con le mani quel poco che abbiamo trovato. Comunque sono riuscito a darmi una superficiale risciacquata giù al fiume dal fondo melmoso. Forse è stata anche la prima volta che ho avuto una pennellata d’idea di come questa gente e abituata a vivere. C’è però da aggiungere che loro dormono nella terra battuta della capanna anche semi nudi compreso quando piove (garantisco che qui la notte fa fresco, come da noi in aprile). Non so se invidiare il loro incredibile adattamento o la mia amata civiltà. Fatto stà che una persona qualsiasi del mio mondo “civilizzato”, in condizioni del genere, cadrebbero in isterismi dopo pochi momenti di questi disagi.
Tornati a casa, ho avuto occasione (dopo non so quanti giorni) di guardare un film con il videoregistratore del parroco qui di Matembwe (padre Remo, un italiano) dal titolo “Gesù di Nazareth”. Ragazzi, quanto me lo sono gustato !!! Non che la televisione mi manchi, ma quando ho occasione di poterla vedere la sfrutto.
Oggi, ho fatto visita al mio amico maestro norvegese a Lupembe , per la festa di fine anno scolastico. Arrivato con la moto, che al solito ha destato insieme alla mia presenza grande stupore per i bambini della scuola. Sono stato invitato a sedermi in un’aula ed a mangiare (all’africana) con insegnanti ed autorità locali. E’ imbarazzante notare quale silenzio vige durante il pranzo, forse perché, date le loro abitudini, erano tutti presi nell’assaporare un cibo così ricco.
Ora sono in relax e meditazione dentro questa casa privo di compagnia. E’ strano notare quanto la solitudine mi porti all’ozio. Ogni tanto passano i cani della missione, estremamente cattivi, ma con me apparentemente docili, mi sono accattivato la completa simpatia di uno di loro, Pluto. Noto che la mia casa è anche il rifugio di alcuni topolini. Quindi ora che ha ripreso a piovere saluto tutti e buonanotte.
In Swaili, la lingua locale, Usikumwema ! ! !

 


 

Matembwe

Causa la pigrizia ed i vari spostamenti nei più caratteristici luoghi dell’interno, abbandono (ahimè…) per svariato tempo l’aggiornamento di questa cronistoria. Ad oggi però, ricordo bene la trasferta di alcuni giorni fatta nell’altopiano del villaggio ’Ngula (circa 2200 metri d’altitudine) in una missione gestita da simpatici e ospitalissimi preti della consolata. Quale favoloso clima, personaggi e panorami da incanto, come quale favolosa qualità di particolari colori africani. Fra l’altro, vengo anche invitato e consumo un regale pranzo nella casa del vescovo di Njombe, la cui cucina è gestita da suore del posto ed alcune sorelle italiane. Per un ateo convinto come me risulta strano frequentare tutti questi appuntamenti di chiesa, ma oltre ad aver incontrato delle persone squisite, questi religiosi mi hanno fatto sentire come a casa accettando la mia posizione e senza mai cercare di convertirmi. Per questi preti il mio modo d’agire è probabilmente come fare un qualcosa simile ad un principio dall’indirizzo religioso.
E’ mercoledì sera e sono in Matembwe, con Claudio organizziamo questo prossimo weekend per andare ad Arusha, cittadina sul confine con il Kenya e prendere un’amica bolognese volontaria come infermiera nel Kenya. Si programma un giro nella capitale e cosa farle visitare d’interessante, dove dormire (bisognerà chiedere per la disponibilità di camere alla consolata o ad un’altra organizzazione “ONG” CUAMM di Padova) a Dar Es Salaam, quindi pianifichiamo la settimana di lavoro ed andiamo a letto.

 


 

Parma 1993

Da quel sonno non ricordo più alcun risveglio in Africa.
Quando apro gli occhi vedo persone con professionali camici, bei muri e tutto quel che mi circonda non ha niente a che vedere con l’Africa. ….Cosa mi succede ???
Per farla breve, ho avuto un grave incidente stradale laggiù nell’interno africano. Entro in coma vigile che durante il trasferimento diventa “coma profondo” (unico ferito perché sbalzato fuori dall’abitacolo), riporto la frattura della spina dorsale con conseguente paraplegia e passo quasi diciassette mesi filati di calvario ospedaliero. Dai referti medici l’incidente è datato:

 

martedì 15 dicembre 1992,

 

quindi una settimana dopo quel mio ultimo ricordo di buonanotte in Matembwe. Questa settimana e i due mesi a venire rimarranno un black out totale della mia mente.
Dopo l’aver passato una gioventù all’insegna del più sano divertimento, bei viaggi in voluta solitudine (mai organizzati ma con l’obbligo di doversi adattare alle circostanze) ed un fortunato trascorso sportivo dagli eccellenti risultati, cos’altro aggiungere ???
Forse che:

 

– “Durante ogni attimo della tua esistenza, corre nel parallelo un’incognita che senza preavviso può “rivoluzionarti” l’immediato domani.
Quest’incognita è “PADRON DESTINO”, un padrone che tutti noi abbiamo ma che nessuno conosce.
Quando decide d’agire è imperativo e non concede possibilità di replica !!!” –

 

Comunque anche se i postumi di questo incidente ha totalmente cambiato il mio essere e vivere, auguro a chiunque di provare una simile avventura africana. Ringrazio quella curiosità che tanto mi ha spinto ad intraprendere una tale e costruttiva esperienza di vita.
Non sò se queste mie impressioni possono avervi incuriosito. Ovviamente filtrate ciò che più vi stimola, sempre ammesso che qualcosa stuzzichi il vostro voler sapere.

 

Ciao da Norberto

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